andrea nardini

venerdì, dicembre 01, 2006

Periferie, il mestiere di viverci

UNA DIAPOSITIVA DEL DISAGIO NELL’HINTERLAND CAPITOLINO



A differenza di molte città europee che si trovano nello stesso problema, a Roma, il centro è poche volte un luogo abitato e più spesso un luogo lavorativo, regno di uffici, negozi e studi professionali; il 70-80% della popolazione ha invece casa lontano dal cuore della città, nelle periferie, nei sobborghi e lungo le consolari principali. Ed è proprio qui che nascono i guai: piccoli furti, rapine, risse e in generale tanta tanta insicurezza. La reazione? Si cerca di potenziare le linee degli autobus, di costruire trenini di superficie, di allungare il tragitto delle metropolitane, si fa di tutto per permettere alle persone che vivono in periferia di poter raggiungere il centro, di “vivere” il centro, un bel luogo dove andare a lavorare e fare compere, accogliente e funzionante, dimora di monumenti storici, ma poi è giusto che la gente torni a casa e trovi la propria periferia sempre più degradata? Bisogna lavorare molto per l’inclusione e quindi per il superamento del concetto attuale di periferia, cioè intesa solamente come luogo di emarginazione e di lontananza dal centro fisico e culturale della capitale. Ci sono realtà nella nostra città che spesso trovano spazio solamente all’interno dei trafiletti di cronaca nera e che non sono poi così lontani da noi. Si pensi già solo al “Residence Bastogi”, un residence per modo di dire in fondo a via Boccea, dove nomadi, immigrati e sfrattati convivono in condizioni igieniche che è già un successo poterle definire tali, o alle cosiddette “Due torri” a Torrevecchia, o alle stesse strade intorno alla stazione di Valle Aurelia, così affollate di pendolari di giorno e così vuote e malfamate di notte. I nostri sobborghi stanno sempre più subendo il tentativo di essere inglobati nella città, di essere assorbiti, ma così non sta accadendo. (Soprav)Vivere in certe periferie sta diventando un mestiere. Il disagio della periferia non si combatte solo costruendo “ponti” sempre più lunghi che la colleghino al centro, cercando di far dimenticare alla gente da dove viene, di farla evadere, ma costruendo infrastrutture, cinema, luoghi di ritrovo e di divertimento, centri anziani, palestre, spazi verdi. Insomma la periferia deve perdere la sua accezione di criminalità e disagio a cui tutti la associano e anzi, attraverso nuovi investimenti interni, si deve far sì che un giorno dire periferia non voglia dire altro che extra-urbanità, un luogo distante dal centro ma che, non per questo, non possa non avere tutte le strutture e i privilegi di tanti altre parti della città sicuramente più fortunate.