andrea nardini

sabato, febbraio 10, 2007

MASS MEDIA E DISABILITA’: UNITI CONTRO IL PREGIUDIZIO



La parola “disabile” è sulla bocca di tutti, specialmente in quest’ultimo periodo e soprattutto sui mass media. C’è la storia del disabile che viene deriso e molestato nelle scuole o c’è quello che eroicamente sventa una rapina, o ancora quello che disabile non è, ma che fingendosi tale di fronte a un tribunale, finge l’infermità mentale. Ma sul mondo della disabilità, apparte le storie dei cosiddetti “angeli e demoni” che leggiamo sui giornali, quanto e cosa si sa veramente?
Impressionanti sono le cifre di quella che per dimensione è a tutti gli effetti una delle emergenze sociali e sanitarie del terzo millennio: più di due milioni di persone in Italia ricevono una pensione di invalidità, il 3,6% della popolazione e di queste il 4,7% hanno meno di 14 anni, il che vuol dire circa 100 mila bambini.
Volendo restare sui giovani si scopre che i bambini disabili alla nascita superano l’1%, mentre sul totale della popolazione studentesca abbiamo un 3% di scolari diversamente abili. Nel mondo universitario i disabili aumentano sensibilmente, anzi raddoppiano nel giro di pochi anni: nel 2000 erano 4.800 mentre nel 2005 sono oltre 9000 con un incremento del 90%. Le persone diversamente abili sotto i 18 anni sono 200 mila, la maggior parte di cui ha limitazioni delle funzioni corporee, già perché questa misteriosa parola “disabilità” altro non significa che limitazione della persona nello svolgimento di un’attività. Tra i disabili sotto i 25 anni il 19,1% dichiara di avere condizioni psico-fisiche discrete, mentre la maggioranza, il 68,3%, dice di sentirsi bene o molto bene e l’integrazione nel sistema scolastico e universitario migliora progressivamente. Tutto “rose e fiori” allora? Certo che no.
Il mondo della disabilità è vasto e complesso e in esso confluiscono varie patologie più o meno gravi, ma è comunque un tema sui cui emerge spesso solo il fatto di cronaca al limite della provocazione e che vive, per lo più, in spazi, tempi e ambiti che seguono il semplice decorso della notizia, ovvero uno o due giorni al massimo. Insomma alla stampa il compito di vedere il disabile non solo nell’estremizzazione della cronaca che lascia il tempo che trova, ma anche nella vita quotidiana, con storie di inserimenti nella società, di amore, di lavoro e di amicizia, perché quelle che un tempo rappresentavano uno stigma da vivere il più delle volte tra le mura domestiche, senza ausili e senza supporti da parte della società, diventano oggi una realtà con cui convivere, una sfida per tutte le compagini della comunità verso una piena e consapevole integrazione.