andrea nardini

sabato, febbraio 10, 2007

A Roma per S. Valentino un concorso e un premio speciali: un lucchetto d'oro al miglior sms d'amore!



Ormai i migliori seduttori, si sa, sono quelli che col telefonino riescono a conquistare il gentil sesso con messaggini d’amore sempre più originali. Ed è proprio da questo che nasce l’idea del XX Municipio di Roma di istituire il “Premio San Valentino a Ponte Milvio” per il messaggio telefonico più bello, mettendo in palio, per il vincitore, un lucchetto d’oro.
La scelta di Ponte Milvio non è casuale. Il luogo infatti è ed è stato un ritrovo storico degli innamorati, che un po’ passeggiando e un po’ chiacchierando avanti e indietro sul tramonto del fiume Tevere, si scambiano effusioni e promesse d’amore eterno. Ma non solo, Ponte Milvio, luogo di forte valore identitario e simbolico, è ricordato anche nelle canzoni e nelle poesie romanesche come uno dei posti prediletti da coppie e spasimanti. Ma nemmeno la scelta del lucchetto d’oro come premio è lasciata al caso, poiché è ormai da mesi che Ponte Milvio è teatro di un affascinante fenomeno: gli innamorati ci vengono e scrivono il proprio nome su dei lucchetti, li chiudono attorno a un lampione e gettano la chiave nel Tevere per suggellare la loro passione per sempre. Ma, al contrario di quanto accaduto invece al Ponte Vecchio di Firenze, il rivale ponte romano non ce l’ha con le sue giovani coppiette e permette a queste di giocare con i lucchetti sul proprio suolo pur se, spiega l’Assessore ai lavori pubblici, Marco Daniele Clarke, “vanno individuate, di concerto con le altre Autorità competenti, forme che consentano la collocazione e permanenza dei lucchetti sul posto senza comprometterne il decoro”. Una soluzione possibile, al vaglio in questi giorni nel XX municipio, potrebbe essere il collocamento a inizio e fine ponte di specifici contenitori che da una parte eviterebbero deturpazioni ambientali e dall’altra, però, rovinerebbero quella magia che avvolge il belvedere di Ponte Milvio e che tanto ha affascinato giovani e meno giovani tanto da assicurarsi l’appellativo, di “Ponte degli innamorati”.

Una beneaugurante leggenda metropolitana infatti vuole che le coppie che compiono il rituale del lucchetto rimarranno insieme per sempre e lo stesso fenomeno è stato ripreso più volte sia nel fortunato libro di Federico Moccia “Tre metri sopra il cielo”, che nell’omonimo riadattamento su pellicola di Luca Lucini. Ai giorni nostri i messaggi col telefonino rappresentano uno straordinario e diffusissimo mezzo di comunicazione ed è proprio per questo, spiega Clarke, che il consiglio di Municipio ha approvato con una specifica risoluzione di celebrare S. Valentino con una iniziativa “così particolare ma allo stesso tempo così al passo coi tempi e con tradizioni in continua evoluzione”. Presto sarà dunque noto il numero di telefonino a cui inviare i fantasiosi messaggi in modo tale che i poeti moderni, gli “scrittori di sms”, messi ormai da parte carta e calamaio, bigliettini e lettere varie, possano vivere il giorno di San Valentino con uno stimolo in più: far innamorare la propria dolce metà e allo stesso tempo, perché no, partecipare a un simpatico concorso che mette in palio un simbolo dell’amore dei nostri giorni, il lucchetto d’oro. Una cosa è certa, il vincitore, qualora abbia conquistato la sua bella, ci penserà due volte prima di buttare al fiume la chiave.

L'Africa che non si arrende: i villaggi di Chalinze e Manchali in Tanzania



Molte associazioni umanitarie sono da anni impegnate nel sostegno dei villaggi africani. Tra questi vi sono Chalinze e Manchali, in Tanzania, che con i fondi e con le iniziative di commercio equo e solidale nel nostro Paese saranno potranno forse vedere avverato il sogno della costruzione di un pozzo e di tubature in grado di portare l’acqua agli abitanti del luogo.
L’azione si inserisce in un programma di più ampio respiro denominato "L’acqua è vita". Il progetto, portato avanti dall’organizzazione italiana LVIA nella parte centrale e arida della Tanzania, comprende lo sviluppo di un nuovo sistema idrico e la riabilitazione di uno vecchio e non funzionante in modo tale da poter servire 4 importanti villaggi tra i quali proprio Manchali e Chalinze. Il progetto prevede l’installazione di una pompa a motore, la costruzione del relativo riparo e di una rete di distribuzione lunga 6 chilometri. Oltre a ciò è prevista la formazione dei responsabili della manutenzione che permetterà la gestione autonoma della pompa.
La Tanzania è uno dei nove Paesi dell’Africa in cui la LVIA intende realizzare, con i fondi ricavati dalla Campagna “Acqua è vita” entro il 2006, interventi che daranno acqua potabile a circa 500.000 persone assetate. Le comunità rurali di questi territori infatti devono affrontare quotidianamente problemi legati all’acqua sia durante la stagione secca, che durante quella delle piogge. Durante la stagione secca, a causa della scarsità del bene, gli abitanti dei villaggi devono spesso camminare chilometri e chilometri per ottenere acqua spesso scarsamente potabile. L'acqua potabile viene invece generalmente portata nel villaggio a bordo di biciclette o carrelli e venduta ai suoi abitanti. Quelli più poveri, tuttavia, non possono comprarla regolarmente: devono ridurne il consumo al minimo, oppure scambiarla col cibo; i loro bambini devono sospendere la scuola per aiutare i genitori nella ricerca di qualcosa da bere.
L'acqua a cui le popolazioni dei villaggi hanno accesso durante la stagione piovosa, pur essendo abbondante, è invece generalmente sporca e poco salubre. Infatti in quel periodo dell'anno le comunità attingono l'acqua da torrenti o da pozzi scavati a mano che contengono risorse idriche spesso molto inquinate. L’intervento in questi villaggi si propone allora di fornire acqua sicura a più di 4500 persone. Grazie al nuovo impianto le donne saranno sollevate dal pesante compito di percorrere molti chilometri per approvvigionarsi di acqua, potendosi così dedicare il loro tempo ad attività produttive permettendo inoltre ai bambini la frequenza a scuola. Le donne, quando possono, cercano di guadagnare un po' di soldi preparando la birra locale, facendo terraglie e cestini da rivendere anche all’estero. Attualmente la LVIA sta cercando di continuare quest'iniziativa e di allargare la distribuzione di questi oggetti, sia in mercati locali che al di fuori. In molte parrocchie italiane e in alcuni centri di commercio equo e solidale questi cestini, molto particolari e interamente lavorati a mano, vengono rivenduti e i soldi ottenuti vengono impiegati per finanziare l’opera di sostentamento di questi villaggi africani da utilizzare per diverse necessità, come ad esempio problemi di salute, tasse scolastiche, funerali, ma anche bisogni primari.
Una delle difficoltà più grandi, oltre a quelle climatiche e territoriali è che sebbene le comunità soffrano di malattie trasmesse dall'acqua, le popolazioni dei villaggi non sono in grado di comprendere a pieno il nesso di causalità esistente tra la malattia e la qualità dell'acqua che viene ingerita e la morte è spesso attribuita a pratiche di stregoneria. Ciò fa sì che non vi sia piena collaborazione tra autoctoni e stranieri. Ma la parrocchia di San Giuliano e, nello specifico l’associazione LVIA, si preoccupano anche del sostentamento delle donne dei villaggi, figure fondamentali nell’economia della regione.
L’appoggio ai gruppi femminili viene attuato attraverso la messa a disposizione di fondi che permettano il miglioramento delle tecniche di allevamento avicoli ed ovini, della produzione agricola disponibile per il consumo o per il commercio, e dell’implementazione di piccole attività commerciali come quella dei cestini appunto. Ad ora nel solo villaggio di Chalinze sono state scavate trincee per l’interramento dei tubi idrici per 5.500 metri e 2.600 metri di tubi sono stati già interrati. Un lavoro enorme che prosegue grazie allo sforzo e alla cooperazione di centinaia di persone, sia sul campo che da lontano o lontanissimo, come dall’Italia, in cui moltissime persone hanno aderito all’iniziativa anche solo comprando uno dei cestini africani nelle ripetute giornate di commercio equo e solidale organizzate dalle parrocchie, sostenendo, con un piccolo gesto, l’economia di interi villaggi e famiglie.

MASS MEDIA E DISABILITA’: UNITI CONTRO IL PREGIUDIZIO



La parola “disabile” è sulla bocca di tutti, specialmente in quest’ultimo periodo e soprattutto sui mass media. C’è la storia del disabile che viene deriso e molestato nelle scuole o c’è quello che eroicamente sventa una rapina, o ancora quello che disabile non è, ma che fingendosi tale di fronte a un tribunale, finge l’infermità mentale. Ma sul mondo della disabilità, apparte le storie dei cosiddetti “angeli e demoni” che leggiamo sui giornali, quanto e cosa si sa veramente?
Impressionanti sono le cifre di quella che per dimensione è a tutti gli effetti una delle emergenze sociali e sanitarie del terzo millennio: più di due milioni di persone in Italia ricevono una pensione di invalidità, il 3,6% della popolazione e di queste il 4,7% hanno meno di 14 anni, il che vuol dire circa 100 mila bambini.
Volendo restare sui giovani si scopre che i bambini disabili alla nascita superano l’1%, mentre sul totale della popolazione studentesca abbiamo un 3% di scolari diversamente abili. Nel mondo universitario i disabili aumentano sensibilmente, anzi raddoppiano nel giro di pochi anni: nel 2000 erano 4.800 mentre nel 2005 sono oltre 9000 con un incremento del 90%. Le persone diversamente abili sotto i 18 anni sono 200 mila, la maggior parte di cui ha limitazioni delle funzioni corporee, già perché questa misteriosa parola “disabilità” altro non significa che limitazione della persona nello svolgimento di un’attività. Tra i disabili sotto i 25 anni il 19,1% dichiara di avere condizioni psico-fisiche discrete, mentre la maggioranza, il 68,3%, dice di sentirsi bene o molto bene e l’integrazione nel sistema scolastico e universitario migliora progressivamente. Tutto “rose e fiori” allora? Certo che no.
Il mondo della disabilità è vasto e complesso e in esso confluiscono varie patologie più o meno gravi, ma è comunque un tema sui cui emerge spesso solo il fatto di cronaca al limite della provocazione e che vive, per lo più, in spazi, tempi e ambiti che seguono il semplice decorso della notizia, ovvero uno o due giorni al massimo. Insomma alla stampa il compito di vedere il disabile non solo nell’estremizzazione della cronaca che lascia il tempo che trova, ma anche nella vita quotidiana, con storie di inserimenti nella società, di amore, di lavoro e di amicizia, perché quelle che un tempo rappresentavano uno stigma da vivere il più delle volte tra le mura domestiche, senza ausili e senza supporti da parte della società, diventano oggi una realtà con cui convivere, una sfida per tutte le compagini della comunità verso una piena e consapevole integrazione.